favola di legno da leggere in famiglia

Se guardo il nuovo – non c’è niente da fare – mi metto subito a frugarci sopra, dentro, intorno; voglio trovarci una traccia di vecchio, altrimenti non me ne innamoro. So che è deformazione culturale; a che servirebbero, sennò, i cinque anni di liceo classico trascorsi a setacciare parole e frammenti alla ricerca di quelle radici antiche che ci individuano come rami di uno stesso albero?

E così, quando al Salone milanese manca un’infilata di giorni che trascorrerà, come ogni anno, in un attimo (aiuto!), mi trovo davanti alle anteprime e, ancora una volta, provo a leggerci vecchie tracce legate a nuovi pensieri.

A volte il legame è a doppio, triplo, quadruplo nodo. Alle spalle di un oggetto che guardo (solo in fotografia, davanti al pc; per il vero devo aspettare la seconda settimana di aprile), possono esserci generazioni di persone che hanno lavorato, districando emozioni, amando materiali, percorrendo venature, scegliendo un cosa, un come e un per chi diversi; ciascuno adatto a un quando.

Andiamo per ordine. In queste poche righe il cosa è Pinocchio. Lo conoscete tutti, avete letto Collodi e da bambini, di certo, avete avuto paura della sua balena e dell’Eccellenza Mangiafuoco.

Una copia della Storia di un burattino stava di sicuro anche nella libreria di casa Valsecchi e magari papà Giacomo, qualche sera, la leggeva ai figli Emilio, Mario e Giovanni; o forse lasciava l’ultimo compito della giornata alla mamma, qualche attimo prima di spegnere le luci.

Pinocchio, uno di famiglia

Fatto sta che, tutto a un tratto, Pinocchio si stufa di starsene lì appiattito tra le sue pagine cento e cento volte sfogliate e, vestendosi di un buon legno lavorato con amore, salta fuori e se ne va a esplorare scaffali di negozi e camerette di bimbi.

E’ un giocattolo e, nella storia che vi racconto, non ha motivo di lamentarsene. Non vuol diventare un bambino vero. Preferisce infatti accompagnarsi ai suoi simili: macchinine, trenini, animaletti. Il suo mondo è tutto di legno, colore, poesia.

Tutto questo succede negli anni ’30. Un bel po’ di tempo fa, direte. Il filo, però, non si perde mai. Raccogliendo qualche truciolo e scampando il guaio di qualche groviglio, passa di mano in mano, nella famiglia Valsecchi.

Dal 1918 – anno in cui Giacomo aveva iniziato la sua avventura – gli anni corrono e regalano continue scoperte e occasioni di crescita. Pinocchio, nel 1952, inizia a girare il mondo; forse si monta anche un po’ la testa. Fa bene.

Negli anni ’70 decide che è ora, per lui, di sistemarsi. Mette su casa e inizia a circondarsi di begli oggetti di legno, non di plastica; solo così la sente davvero sua. Anche Gianfranco e Sergio, figli di quel Mario che per primo aveva ascoltato da Giacomo la storia narrata dal vecchio libro, sono d’accordo.

Pinocchio, ormai, non solo non vuol essere un bambino vero. Vuol fare altro, nella vita. Ha imparato tutto, del legno, e sa che trasformarlo in giocattoli, oggetti, mobili è un’arte e una ricchezza; un tesoro di famiglia da custodire con amore.

Per farne parte, allora, sapete cosa combina? Si nasconde, neanche troppo bene, nella gamba di un tavolino da caffè; e poi dietro a un grosso cesto d’acciaio. Spera che il gioco di trasparenze e riflessi lo facciano passare un po’ inosservato. Di rosso vestito com’è, con il suo cappello a cono, è davvero improbabile. Persino un bambino saprebbe riconoscerlo e dargli immediatamente un nome: Pinocchio!

Ed eccolo a scappar via e rifugiarsi in uno specchio. Nella sagoma che ritaglia, ciascuno può leggere la sua lunga storia che, per la famiglia Valsecchi, sta per compiere cento anni.

Nora