sedie e felicità

sedie e felicità

E, dopo le cucine gialle, eccomi a rivelarvi un secondo motivo di felicità domestica: le sedie.

La confessione della mia passione per gli esemplari di design a quattro zampe nasce a seguito di una scoperta sconvolgente fatta al ritorno dalla Design Week milanese: la memory card della povera e fedele reflex zeppa, per un buon 70%, di foto di sedie, sedie, poltroncine e ancora sedie. Incredibile. Una scheda, sottile e innocente, mi ha messo spalle al muro.

Fatto sta che tutto questo affollamento virtuale mi ha costretto a una radicale scrematura. Senza, piogge di legno, metallo e pelle avrebbero invaso queste pagine e messo in fuga anche i lettori più tenaci (il parentame stretto, tanto per capirci).

Eliminazione, editing, limatura, riorganizzazione sono invece regolarmente avvenute e la folla di quadrupedi domestici si è ridotta di molto, delineando uno sparuto gruppo di sedie fedelissime: le must have.

Le ho distinte in due gruppi e, dal secondo, ne ho pescata fuori una per raccontarvela in dettaglio. Poi vi dico; si chiama Espresso ed è di Tonon. Ora, però, andiamo con ordine.

sedie a colori

sedie e felicità

Il colore, disegnato in metallo, legno o plastica, è la prima cosa che vedi. Non importa che sia una semplice applicazione (Parri) o, al contrario, costituisca l’essenza della sedia stessa e la costruisca per bene nello spazio. La sensazione che hai è quella di accomodarti nel colore e basta; il resto quasi lo ignori.

Ovvio che la strategia funziona meglio con le linee sinuose e avvolgenti (Kartell) e con le monovolume (Vitra).

sedie in forma

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Arrivano da una secessione del primo gruppo. A loro importa la forma e anche la sostanza; si compiacciono del materiale nel quale sono ritagliate e, per ringraziarlo, lo adattano alla geometria che più gli si addice: di sicuro, per la pelle, è quella tesa (Midj, Apelle di Beatriz Sempere).

Il legno (Zilio A&C) è un grande protagonista e, da qui, mi permette di fare il salto alla must have delle must have: l’Espresso che vi dicevo.

una sedia per casa

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Al Salone con lei ho potuto avere poco a che fare. Ho frugato tra le decine di foto scattate e nulla, neanche una decente. Tra le indecenti ne ho pescata una giusto per darvi l’idea della congestione dello stand Tonon quando ci sono approdata, nel tardo pomeriggio di un mese fa giusto giusto.

L’ho riconosciuta fra molte, Espresso, e, con gli occhi, l’ho fatta un po’ mia. Mi è piaciuta subito la sua semplicità disarmante; in fondo non è che un ben riuscito gioco di curve raccordate una con l’altra.

sedie e felicità

Poi, tornata a casa, ho iniziato a leggerci qualcosa in più. Qualcosa che ha a che fare con la contemporaneità e con l’accostamento di materiali vecchi (il legno) e nuovi (lo schiumato Soft Touch).

sedie e felicità

La sedia porta la firma di Paolo Nava e rappresenta l’evoluzione della classica sedia da bistrot. La sua ricetta di design è questa: acchiappare la sedia anni ’20 della nonna, epurarla di tutto l’inessenziale, conservarne il legno e regalarle un comfort attuale da spazio domestico. Sembra semplice ma non tutti ci riescono.

sedie e felicità

La versione che preferisco è senz’altro quella che abbina il legno al bianco ottico della seduta. Un richiamo inconfondibile alla purezza scandinava e a un certo rigore che, in Italia, è davvero merce rara. E’ ovvio che su questo giudizio, assolutamente personale (e non potrebbe essere che così), pesa la mia passione per l’eredità di un Arne Jacobsen o un Alvar Aalto.

Me li vado a cercare con la lanterna, ogni volta, i dettagli che me li fanno ricordare.

sedie e felicità

sedie e felicità

sedie e felicità

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[articolo realizzato in collaborazione con Tonon]