Il trattore Ursus se ne sta fermo nella via. Se solo qualcuno lo liberasse di tutto quel ciarpame che gli ingombra ruote e sedile, allora sì che sarebbe pronto a ripartire. Il suo colore giallo, almeno, proprio questo dice di lui.
Ho incontrato Ursus lo scorso agosto. Passeggiavo senza meta, macchina fotografica al collo, per le vie di Elafonisos. L’isola si raggiunge in dieci minuti di traghetto da Pounta, all’estremità di una delle tre dita del Peloponneso, in Grecia.
Per arrivare lì occorre invece, sbarcando dalla nave nel porto di Patrasso, viaggiare per poco più di cinque ore e attraversare una penisola che a me, prima di quest’estate, sembrava esistere solo nei libri di scuola.
Il tragitto tocca persino Sparta e costeggia il monte Taigeto; i nomi escono dalle pagine e diventano mare, cielo e terra.
A Elafonisos ho avuto un problema: gli occhi non si sono mai abituati alla violenza dei suoi colori. Natura senza ritegno, bianco accecante, mare dalle sfumature inafferrabili, sempre nuove e provocatorie.
Una situazione inaccettabile per una metodica e precisina come me, sempre pronta a tirare fuori il bandolo della matassa, a incasellare e a dare a ciascuna cosa un’etichetta.
Nessuna regola; e così è stato amore.
Persino le case, a Elafonisos, sfuggono alla razionalità. Il piccolo centro abitato è nato ed è cresciuto spontaneamente intorno al molo di attracco del traghetto. Anche alla vista non è leggibile alcun tentativo di dar vita a un piano e di incanalare la vita quotidiana dei pescatori, per le vie, in un ordine studiato a tavolino.
Sono state le necessità, piuttosto, a costruire tutto e a costringere muri, cancelli, finestre, porte a dar vita a luoghi, spazi raccolti e intimi dove ritirarsi la sera al tramonto.
La spontaneità, però, non manca di armonia. C’è una logica cromatica che riconduce tutto a un’unica radice, antica molto più del Peloponneso e delle sue storie rubate ai libri: il mare.
azzurri e blu dalla Grecia
Credo di non aver mai avuto a che fare con tanti azzurri e blu come a Elafonisos. Sono ovunque e dimostrano una prepotenza senza limiti; e il bianco è dalla loro parte. Ho accettato di esserne sopraffatta e, al rientro, ho composto delle palette; faccio tesoro di quello che gli occhi hanno fatto fatica a sopportare e hanno amato senza confini.
Tra tanti muri, contraddizioni, imprevisti e ammassi di macerie, ho scovato un tesoro: questa casa.
I vicini raccontano che da tanti anni giace in completo abbandono a causa di un’eredità frantumata in mille rami diversi e litigiosi. E’ un fatto che accade spesso nei piccoli centri, in Grecia come in qualsiasi altra parte del mondo.
Nonostante il suo stato, questo edificio sembra racchiudere un abaco di ciò che per me è casa: mura antiche, finestre colorate, un albero amico, porte che raccontano un interno intimo e affascinante come la storia di una famiglia. Chissà.
Altri colori, per chiudere il racconto di questa meravigliosa decadenza.