
una famiglia italiana dalle Marche, con amore
Arrivo da una tipica famiglia italiana. Di Roma, per la precisione. E con questo non intendo che sono de Roma di sette generazioni; saranno rimasti in tre o quattro, ormai, a vantare una discendenza così radicata nella Capitale.
Intendo piuttosto che, come molti miei concittadini, sono il risultato genetico di un mix ben calibrato tra nord e sud dello stivale; qualcuno, da qualche ramo del mio albero genealogico, si è affacciato anche oltre confine. Da Trieste all’Istria è un attimo.
La mia nonna paterna era marchigiana, di Ascoli Piceno. Pare che cucinasse un fritto divino che, però, non ho mai potuto assaggiare. E’ venuta a mancare quando ero ancora piccola e forse, per dolore e discrezione, mio padre non ha mai calcato molto la mano nel farmi assaporare e riconoscere queste origini familiari.
Mi raccontava di lei, maestra elementare, dei tempi difficili della guerra, delle lontananze, di una bicicletta sgangherata capace di viaggiare per chilometri; di una fatica del lavoro e della vita che ora mi sono del tutto estranei.
E poi mio padre mi dipingeva anche un’Ascoli fatta di vie intime, di parole gentili tra le persone, di consuetudini; la città dove, da bambino, era cresciuto tra braccia rassicuranti e certezze domestiche.
Così è successo che sabato mattina, quando ho messo piede, per la prima volta, nella Piazza del Popolo, un po’ d’aria di famiglia l’ho sentita. Forse arrivava da quel travertino inondato di sole o dalle vie limitrofe dove qualcuno, al riparo dell’ombra, scambiava parole tranquille e qualche sorriso. In un posto estraneo, tra antichi edifici imbevuti di storia e racconti di famiglia, mi sono sentita inspiegabilmente a casa.
La piazza, pur se di dimensioni notevoli, è intima e accogliente, strutturata per ambiti misurabili a passo d’uomo. C’è il Caffè Meletti, su un lato, con la sua celebre Anisetta in vetrina e le sue sedie e tavolini verde menta fuori, all’aperto, ad accogliere colazioni di tarda mattinata.
A due passi, nella piazza omonima, c’è il Palazzo dell’Arengo. Un gioiello che accoglie gli uffici comunali e una Pinacoteca e racchiude, varcato il corpo di facciata, una corte interna con statue e panni stesi al sole. Grande e piccola scala insieme.
Ad Ascoli sui palazzi la sanno lunga. La sera prima avevo dormito in una delle stanze del quattrocentesco Palazzo Guiderocchi, già Cancelleria del Censo, Tribunale ecclesiastico e Archivio Notarile, trasformato in luogo d’accoglienza da una decina d’anni a questa parte.
Il viaggio attraverso le Marche mi ha poi portato al mare: Senigallia, inevitabile. Sabato pomeriggio, davanti alla Rotonda a Mare, ho capito di essere nel posto giusto al momento giusto. Proprio un 18 luglio di 82 anni fa, infatti, si inaugurava l’edificio nella sua configurazione attuale, frutto del progetto di Enrico Cardelli.