un quartiere dove c’è tutto, pure l’ufficio postale e il negozio cinese

Casa mia è a Roma nel quartiere Portuense, che è a due passi dal rione Testaccio e da Monteverde. È un grande classico definirlo comodo, c’è tutto: dal parrucchiere, al fruttivendolo, al fornaio, alle scuole, all’ufficio postale e pure al negozio cinese. Non è una zona particolarmente elegante o prestigiosa, ma, per ora, non la cambierei con un’altra.
Nel raggio di appena un paio di chilometri da casa, infatti, i miei bambini hanno costruito i loro primi anni di vita, intrecciando legami importanti e amicizie che, in una città grande come Roma, valgono più della vicinanza con mille attrattive turistiche e della comodità di un quartiere più tranquillo, meno congestionato e lontano dalla cinta delle mura aureliane. Conosciamo tutti e, soprattutto, siamo consapevoli di pregi e difetti del territorio: mi sembra una buona base di partenza.
Certo, quando la sera fatico a trovare parcheggio per la mia vecchia Clio classe 2005, questa positività un po’ vacilla. Ma basta scambiare anche solo un cenno di saluto con la vicina di casa, riconoscere per le scale il rumore delle padelle messe sul fuoco e sentire Mario al piano di sopra ciabattare rumorosamente in camera da letto, per sentirmi subito a casa.
Samuele è un po’ meno entusiasta di me rispetto a questa situazione alla Özpetek. Fosse per lui vivremmo in un palazzo signorile di Prati e io sarei perennemente in tacchi e cappotto cammello. Invece, capelli corti e abbigliamento sportivo, corro tra cantiere, scuola e corso di basket di Fabio, in lotta contro il tempo che sembra essermi sempre nemico, ma che invece, zitto zitto, è il mio alleato per sentirmi viva ogni giorno.
c’era una volta una casa

Casa mia una volta era dei miei nonni, Alfredo e Ada, lui Ufficiale Medico dell’Esercito, lei maestra di scuola elementare. Negli anni tanti racconti su di loro si sono sovrapposti e mescolati, ma rimangono due notizie che do per certe:
- mio nonno pare fosse diventato cuoco di fiducia del manipolo di inglesi che lo teneva prigioniero in Africa durante la Seconda Guerra Mondiale, a testimonianza di come i natali campani possano tornare davvero utili, a volte (a’ pummarola vince, sempre)
- mia nonna, mentre il marito cucinava per gli inglesi, si faceva chilometri in bicicletta per coprire il tragitto casa-scuola in Ascoli e non perdeva il sorriso che ho visto immortalato in tante foto dell’epoca
Quando mia nonna venne a mancare, a metà degli anni ’80, mio nonno continuò ad abitare qui, dove vivo io ora. Venivo a trovarlo e mi ospitava nel piccolo spazio del tinello che oggi è il mio studio. Lui faceva i solitari con le carte e io leggevo Salgari. In un silenzio che puoi condividere solo con chi ami, bevevamo a piccoli sorsi: io un succo di frutta allungato con l’acqua, lui il Mandarinetto Isolabella.
da casa mia a casa nostra

Casa mia è così com’è ora più o meno dal 2008. Sono venuta ad abitarci nel settembre del 2003, dopo essermi laureata in architettura allo IUAV di Venezia in un piovosissimo 23 luglio (che fosse un segno?). Ho vissuto in laguna per quattro anni e non credo di essere mai stata così in forma in vita mia (né di poterlo mai più essere in futuro): ponti, calli e campi allenano corpo e mente attraverso la misura dei passi e del respiro.
Il momento del ritorno a Roma è stato bello e triste allo stesso tempo, ma c’è da dire che io sono una malinconica patologica e tendo a fare di tutto un dramma da romanzo ottocentesco (ciao Emily, ciao Edith).
Dopo un trasloco piuttosto rocambolesco e due settimane di lavori frettolosi e mal eseguiti per rifare il bagno e la cucina (l’inesperienza da neo-architetto è davvero una brutta cosa), mi sono trasferita. La prima sera avevo solo un divano, mille pacchi di mobili Ikea da montare, un forno a microonde ed ero felice.
Tutto poi è filato più o meno liscio fino a quando, a fine 2007, una bella pancia ha iniziato a crescere sul mio possente fisico da cinquanta chili per centosettanta centimetri di altezza. Alla casa si è aggiunta una camera in più, con tanto di bagno privato, che fino a oggi è stata il rifugio, amatissimo, dei miei Francesco e Fabio (arrivato, con tanto di occhi azzurri e capelli biondi alla svedese, a fine 2010).
Casa mia è casa nostra, ora, e ci abitiamo in quattro: due grandi e due piccoli. La amiamo e la rispettiamo, per come ci ha fatto stare bene in tutti questi anni, e abbiamo deciso di (ri)farla bella. Bellissima.
Per qualche mese ce ne andiamo a stare in affitto in un appartamento qui vicino, e già non vediamo l’ora di tornare.
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